SCIENZA E TECNICA
Rapporto peso -potenza
E' lampante per tutti che per alzare di 1 m un masso da 100 kg devo faticare molto di più rispetto a un masso da 60 kg; devo infatti usare una forza maggiore da applicare al masso.
Applichiamo lo stesso principio al ciclismo: voglio far salire il mio corpo (60 kg) e la mia bici (10 kg) e un sacco con 40 kg di pietre (totale 110 kg) di 100 metri di dislivello attraverso la meccanica dei pedali, motore della bicicletta.
Impiegherò per compiere questo tragitto un certo intervallo di tempo.
Ora proverò a ripercorre il solito tragitto senza il sacco da 40 kg sulle spalle (totale 70 kg).
In quale delle due prove avrò impiegato meno tempo ?
La risposta è banale e scontata: senza il sacco impiegherò molto meno.
Questo semplicissimo esempio serve a far capire che portarsi dietro qualche kg in più in salita implica queste conseguenze:
1) A parità di potenza l'atleta più leggero va più veloce.
2) A parità di velocità serve una potenza maggiore all'atleta più pesante.
Quantifichiamo adesso queste affermazioni:
prendiamo come esempio 1 kilometro di salita al 5% da percorrere a 15 km/h, tempo costante 4 minuti.
Nella tab. 1 possiamo confrontare le potenze necessarie ai diversi pesi per mantenere la velocità di 15 km/h in salita al 5%.
tab. 1
Si può facilmente notare come a parità di velocità il dispendio energetico dei ciclisti più pesanti sia maggiore (vedi grafico).

Analizziamo ora a parità di potenza i riflessi sul tempo e sulla velocità.
Fissiamo 250 Watt, la potenza di un cicloamatore medio, come valore per i nostri esempi.
Vediamo i tempi al km, per le varie pendenze, per i vari pesi.
tab. 2

- in pianura ogni 5 kg di peso perdiamo 0,21 secondi circa al km (0,04 sec ogni kg)
- in salita al 3% ogni 5 kg di peso perdiamo 4,10 secondi al km (0,82 sec ogni kg)
- in salita al 6% ogni 5 kg di peso perdiamo 10,48 secondi al km (2,1 sec ogni kg)
- in salita al 9% ogni 5 kg di peso perdiamo 17,09 secondi al km (3,42 sec ogni kg)
- in salita al 12% ogni 5 kg di peso perdiamo 23,41 secondi al km (4,68 sec ogni kg)
- in salita al 15% ogni 5 kg di peso perdiamo 29,53 secondi al km (5,91 sec ogni kg)
Riassumiamo nella tabella seguente quanto mediamente influisce il peso alle diverse pendenze. Prendiamo come riferimento prestazioni in 1 km di salita, con differenze di peso dell'ordine di 1 - 5 e 10 kg.

Valutiamo sul campo queste differenze. In una salita come il Passo Giau, inserita nella Maratona delle Dolomiti, pendenza media del 9% e una lunghezza di 10 km, ogni kg in più significa perdere 3,42 secondi al km, ovvero 34,2 secondi su tutta la salita (3,42 sec * 10 km). In pratica tra due ciclisti di pari potenza ma con 20 kg di differenza il distacco sul Passo sarà di 11 minuti e 24 secondi !!! (3,42 sec * 20 kg * 10 km).
Possiamo sintetizzare queste teorie con 2 grafici:

Grafico 2: tempo al km alle varie pendenze di un ciclista con 250 watt di potenza.

Approfondendo ancora di più il concetto del rapporto peso-potenza, andiamo ad analizzare quanto ogni singola resistenza all'avanzamento (peso, aerodinamica e attriti) influisce in percentuale sul totale delle resistenze da vincere alle varie pendenze.
Applicando la formula della potenza, prendendo come esempio un ciclista medio che marcia con una potenza totale di 250 Watt (attrito 0,004 - cx 0,30 - peso ciclista+bici 80 kg), si ottengono alle varie pendenze i seguenti valori percentuali:
tab.4

Variando la pendenza dall'1% al 5% la percentuale d'incidenza del peso sul totale della potenza da applicare, cresce dal 29% all'83%.
Distribuzione % potenze necessarie al ciclista per marciare all'1% di pendenza.

Distribuzione % potenze necessarie al ciclista per marciare al 5% di pendenza.

Dalla tab.4 possiamo estrapolare un grafico che ci permette di chiarire ulteriormente il concetto.

Il grafico mostra chiaramente come la percentuale della potenza media imputabile al fattore peso (linea nera), cresca con l'aumentare della pendenza. Quindi l'aerodinamica è importante in pianura fino a pendenze dell'1/2%, poi il peso diventa la resistenza con cui fare i conti.
Se riusciamo quindi ad "abbattere" il maggior numero di kg superflui sulla bici e sul peso corporeo, senza perdere significativamente in potenza, potremo beneficiare dell'"effetto peso" in salita, che sarà tanto maggiore con il crescere della pendenza.
Facciamo un confronto tra due ciclisti di diverso peso e di diversa potenza per osservare sul campo cosa accade:
Il signor Leggeri (60 kg di peso e 200 Watt di potenza) e il signor Grossi (80 kg di peso e 250 Watt di potenza) si confrontano su pendenze varie a potenza costante.
Vediamo le velocità che i due ciclisti possono sostenere alle varie pendenze e i relativi tempi al km:
tab.5

Come potete notare, seppur in virtù di una potenza maggiore, Grossi, penalizzato dal proprio peso, è destinato a soccombere a Leggeri con il crescere della pendenza; più precisamente Leggeri prenderà il largo su Grossi su salite con inclinazioni maggiori del 4,5% mentre Grossi riuscirà a far valere la sua maggior potenza su percorsi con pendenze al di sotto del 4,5%. La pendenza 4,5% rappresenta il "punto d'equilibrio" tra i due ciclisti; infatti su questa pendenza nonostante pesi e potenze diversi i due "miracolosamente" pedaleranno insieme.
Sintetizziamo il "recupero" di Leggeri su Grossi con questo grafico:

Grafico 5: confronto tra le velocità sostenibili da due ciclisti con peso e potenza diversi
L'affermazione che Leggeri è un ciclista più forte di Grossi può sembrare errata, Grossi infatti dispone di maggiore potenza e su salite più dolci può dettare legge; in una gara in linea però va considerato anche il "gioco delle scie". Lo stare a ruota comporta benefici che vanno dal 28% al 45% di risparmio di potenza !!
Assumendo che il ciclista a ruota abbia un risparmio del 30% di potenza vediamo cosa succede a Grossi e Leggeri durante la marcia in pianura, al 2% e al 4% con Grossi che sta davanti a "tirare".
Durante la pianura Grossi sviluppando 250 Watt di potenza marcia a 37,76 km/h e compie un km in 1.35 (vedi tab.5).
Il contributo alle singole resistenze è: 213 Watt (86%) per le resistenze aerodinamiche (Wcx) e 37 Watt (14%) per quelle degli attriti (Wa).
A Leggeri, grazie al suo peso più contenuto, per marciare alla stessa velocità basterebbero 244 Watt anzichè 250, così distibuiti (Wcx 215 + Wa 28).
Purtroppo per lui, madre natura non l'ha premiato così generosamente e dispone di soli 200 Watt e in un'ipotetica cronometro perderebbe 7 secondi al km. Grazie al gioco delle scie però può risparmiare stando a ruota di Grossi il 30% della potenza necessaria a vincere la resistenza aerodinamica (Wcx) e quindi bastano 215 Watt - 30% = 150 Watt che sommati ai 28 Watt necessari a Wa danno 178 Watt che rappresentano la potenza che Leggeri dovrà sprigionare per stare a ruota di Grossi e che è pari all'89% della potenza di cui dispone.
L'ANALISI DELLA PEDALATA
Sicuramente avrete sentito parlare di pedalata rotonda, fase di spinta, punto morto superiore, rpm e di molti altri aspetti della pedalata, che vengono analizzati dalla scienza di confine tra meccanica, fisica e medicina che prende il nome di biomeccanica. Capire come avviene la pedalata è importante per conoscere il lavoro dei muscoli nelle diverse fasi e prevenire problemi legati a errori d'impostazione o di guida, oltre a migliorare il proprio gesto atletico, rendendolo più performante ed economico.
Le quattro fasi della pedalata
La pedalata è un gesto atletico in cui la muscolatura s'interfaccia con dei componenti meccanici (pedale, pedivella, guarnitura e movimento centrale). È un movimento complesso, dove una serie di leve meccaniche agiscono in simbiosi per consentire al mezzo di muoversi. La prima leva è la coscia, con l'infulcro nel bacino, che grazie ai muscoli più grandi dell'intero corpo riesce a sprigionare la potenza necessaria.
La seconda leva è la tibia, con il fulcro formato dalla rotula, che trasmette la potenza genera al piede. Infine c'è l'ultima leva, la pedivella, che trasmette l'energia dal piede alla guarnitura, mettendola così in rotazione e consentendole di trazionare la catena.
Come vedete il sistema è complesso, anche perché dei quattro fulcri esistenti (bacino, rotula, caviglia e asse del movimento centrale), solo uno è fisso, mentre gli altri possono essere modificati per migliorare l'efficienza di pedalata, la potenza sprigionata o il comfort del ciclista.
Il lavoro dei muscoli della gamba viene definito catena cinetica, mentre la trasmissione dell'energia dal pedale alla guarnitura e da qui alla catena e alla ruota posteriore si descrive come una catena cinematica. L'insieme di queste due tipologie di lavoro (umano e meccanico) dà vita alla pedalata, che si compie in quattro fasi distinte ripetute in continuazione e per questo prende il nome di catena cinematica chiusa.
Per lungo tempo si è creduto che la pedalata si dividesse in due grandi categorie: le fasi di spinta e quelle morte (dove non vi è spinta). Solitamente le fasi di spinta venivano correlate a quando la pedivella è parallela al terreno e quelle morte collegate al passaggio della pedivella perpendicolare al terreno. Gli studi biomeccanici effettuati dai medici sportivi Pruitt, Haushalter e Zani (l'uno indipendentemente dall'altro) hanno permesso di ricostruire con esattezza il movimento dei muscoli durante la pedalata e l'azione energetica che viene effettuata.
Dato che il pedale descrive una circonferenza perfetta durante la sua rivoluzione, immaginiamo la guarnitura come un orologio e la pedivella come una lancetta e dividiamo lo schema in quattro parti.
La fase 1 è quella più importante in termini di spinta, dove la maggior parte della forza sprigionata si trasmette sul pedale. Infatti è in questa fase che si scarica il 65% della potenza muscolare del ciclista. Per aumentare la trasmissione di energia, il pedale deve rimanere orizzontale per tutta la durata di questa fase e questo è possibile solo regolando con cura la posizione delle tacchette e l'avanzamento del ginocchio attraverso l'altezza e l'arretramento di sella.
La pedalata con pedale parallelo al terreno è vantaggiosa in termini di espressione di potenza ma anche per salvaguardare muscoli e tendini della gamba, poiché una pedalata di tallone (con il tallone inclinato verso il basso) o di punta (con la punta del piede inclinata verso il basso) sono modalità di pedalata dannose per le articolazioni dell'anca, del ginocchio e della caviglia. Solitamente dipendo da un'errata altezza di sella.
La fase 2 è detta di transizione, poiché si passa da un lavoro di spinta a uno di trazione. Il pedale s'inclina in avanti pronto per affrontare la fase 3. È in questa fase che vi è l'estensione massima della gamba, resa possibile sia grazie a un'adeguata altezza di sella che a una flessibilità muscolare capace di supportarne l'azione. L'energia utilizzata in questa fase è il 12% del totale
.La fase 3 è detta di trazione anche se è meglio parlare di risalita dinamica. Infatti mentre il piede destro sta effettuando una trazione sul pedale, dall'altra parte il sinistro sta "spingendo" sul pedale, consentendo quindi alla pedivella destra di risalire. Infatti la potenza utilizzata è il 17% del totale, appena poco superiore a quella precedente. Il pedale s'inclina ancora di più in avanti fino a raggiungere i 30° con il terreno. Qui termina il lavoro del polpaccio, che ha il compito di estendere il piede nelle tre fasi analizzate. Durante la risalita dinamica la tomaia della scarpa si deforma per via degli sforzi in atto e quindi minore sarà la rigidità della scarpa stessa maggiore la dispersione di energia.
La fase 4 è la seconda fase di transizione dalla trazione alla spinta e permette di chiudere un ciclo di pedalata, ovvero una rivoluzione di 360° del pedale attorno all'asse del movimento centrale. Qui il pedale si raddrizza fino a tornare orizzontale ed è la fase in cui la flessione della gamba è maggiore. È il punto in cui l'energia utilizzata fa segnare la percentuale più bassa, ovvero il 6% del totale.
Abbiamo detto che l'unico punto fisso all'interno della pedalata è l'asse del movimento centrale, mentre gli altri punti d'infulcro sono variabili e si modificano nel corso della rivoluzione del pedale. Gli studi biomeccanici, attraverso l'analisi dinamica della pedalata, hanno potuto rilevare con certezza i movimenti dei punti d'influcro delle leve muscolari e meccaniche durante le quattro fasi. Per questo abbiamo quattro diversi comportamenti:
• Pedale: il pedale descrive un cerchio perfetto con raggio pari alla lunghezza della pedivella;
• Caviglia: descrive una traiettoria che è pari a un'ellisse schiacciata con la punta rivolta verso l'alto;
• Ginocchio: contrariamente a quello che si è sempre creduto, il ginocchio non si muove in verticale, come se fosse il pistone di un motore a scoppio. Il suo movimento è tridimensionale e descrive una specie di otto con le rotondità ovali e più o meno allungate a seconda della libertà e della flessibilità dell'articolazione. Questa considerazione è molto importante poiché è influenzata dallo stile di pedalata di ciascun ciclista e cercare di bloccare il ginocchio (come avveniva in passato) in una traiettoria rettilinea comporta la formazione di problemi all'articolazione e ai legamenti;
• Anca: anche questa articolazione descrive un piccolo otto, con le rotondità ovali e schiacciate;
Impostazioni biomeccaniche della pedalata
La pedalata "perfetta" non esiste. Si può trovare il giusto compromesso tra efficienza meccanica (quindi l'espressione di potenza e la massimizzazione dell'energia sprigionata dai muscoli) e l'efficienza fisiologica (la salvaguardia di muscoli e articolazioni), per consentire di realizzare una pedalata che sia funzionale a ciò che vogliamo e dobbiamo fare. Per questo è sempre bene per prima cosa capire cosa si vuole realizzare e gli obiettivi da porsi. Per esempio un ciclista impegnato in una prova a cronometro avrà obiettivi (e quindi un'impostazione biomeccanica) completamente diversa da un cicloturista rilassato. Tre sono le regolazioni che consentono di modificare i parametri e influenzare la funzionalità della pedalata:
• Posizione delle tacchette: arretrando o avanzando la tacchetta si sposta l'asse del pedale rispetto al piede. Questa condizione è essenziale per sviluppare una corretta pedalata, poiché numerosi studi concordano nell'affermare che la posizione migliore è quella con l'asse del pedale in linea con la prima testa metatarsale del piede. Una posizione più avanzata apporta benefici in termini di spinta ma è causa di problemi fisici alle articolazioni e può essere sostenuta per brevi periodi di tempo. Non a casa è la soluzione scelta dai pistard, le cui posizioni sono molto aggressive ma le gare durano meno di un'ora;
• Inclinazione delle tacchette: le tacchette devono essere inclinate in modo da seguire l'inclinazione della caviglia e non devono invece cercare di correggerla, altrimenti la forza sprigionata sarà minore e si potranno verificare problemi al tendine d'achille e ai nervi plantari;
• Altezza di sella: influisce direttamente sulla capacità di mantenere orizzontale il pedale per tutta la durata della fase 1 e per evitare le situazioni in cui si pedala di punta o di tallone, che sono deleterie per le articolazioni. Inoltre influenza anche la stabilità del bacino, evitando che oscilli sulla sella provocando dolori lombari;• Arretramento di sella: determina la posizione del ginocchio che, come per il piede, trova come miglior compromesso l'allineamento con il perno del pedale. Analizzeremo questa situazione e la sua determinazione attraverso il metodo KOPS in un articolo dedicato;
Imparare a pedalare bene
È possibile quindi imparare a pedalare bene, per esprimere la massima potenza salvaguardando articolazioni e muscoli? Certo che è possibile, poiché pedalare è un'espressione umana e quindi si può allenare e migliorare. Si può agire su più fronti per allenarsi a pedalare in maniera ottimale:
• Visualizzare la pedalata: per imparare a fare una cosa biosgna in primis conoscerla e comprenderla. Per questo per imparare a pedalare bene bisogna comprendere la posizione che deve mantenere il piede durante l'intera rivoluzione del pedale e visualizzarla nella propria mente. In questo modo riusciremo a capirla e ad attuarla con maggior facilità;
• Effettuare un'impostazione corretta: sia che vi rivolgiate a un biomeccanico o che facciate da soli, pedalare bene è impossibile senza un'impostazione dei parametri curata nei minimi dettagli. I vantaggi dell'avere una bici che è una macchina da guerra e una muscolatura possente possono essere annullati da una messa in sella scorretta. Per questo controllate la posizione delle tacchette, l'altezza di sella e l'arretramento;
• Migliorare la flessibilità muscolare: attraverso esercizi di stretching e Yoga allungate i muscoli e miglioratene l'elasticità per ampliarne il movimento e consentire di sprigionare maggiore potenza;
• Esercitarsi: non c'è miglior scuola della pratica e quindi per imparare a pedalare bene si deve pedalare. Si può mettere in pratica un esercizio molto valido. Scegliete un tratto di piano con poco traffico e cominciate a pedalare. A un certo punto sganciate un piede e pedalate solo con quello rimasto agganciato. Dovete essere in grado di andare avanti con il solo movimento del piede, alternando le quattro fasi e mantenendo il pedale nella giusta posizione come abbiamo visto. Ripetete con l'altro piede ed esercitate quello che vi sembra meno allenato. Dopo un breve periodo sarete in grado di attuare le quattro fasi con entrambi i piedi agganciati e avrete così imparato a pedalare con efficacia;
Concludendo
La dinamica della pedalata è un aspetto fantastico del ciclismo, dove l'essere umano e il mezzo meccanico collaborano per dare vita a uno tra i più efficienti gesti umani (il rendimento della pedalata è infatti migliore della camminata, della corsa e di un motore a scoppio di un'auto). Ovviamente è anche straordinariamente complesso, poiché agiscono aspetti e forze diverse e le impostazioni sono molto sensibili. Ma una volta trovata la famosa "quadra" e apprese le tecniche necessarie, si può imparare a pedalare con grandi risultati, limitando l'affaticamento, migliorando la prestazione e salvaguardando le articolazioni.